Meraviglie sommerse dal Mediterraneo
Reperti preziosi e relitti (tra cui Antikythera, il primo scoperto nel Mediterraneo nel 1900), oggetti di vita marinara e cimeli della navigazione (l’applique d’oro del sito protostorico di Vivara, le coppette del II millennio a.C. del relitto di Lipari). E ancora, testimonianze dell’incessante movimento di derrate e merci. Gli antichi strumenti di pesca provenienti da Pompei, da Ercolano, dalle acque di Pantelleria e le ardite architetture delle ville d’otium.
A capo di tutto l’uomo e il suo desiderio di scoperta, di esplorare l’ignoto sommerso, i primi passi verso l’archeologia subacquea a metà del XX secolo. Baia e Albenga, Maiuri e Lamboglia i protagonisti della nascita della disciplina in Italia. E dove l’uomo non può spingersi, ecco i robot, in grado di operare a più di 4000 metri di profondità. Tutto in una mostra, Thalassa, la grande esposizione promossa dal MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), in collaborazione con l’Assessorato dei Beni Culturali della Regione Siciliana, allestita nel Salone della Meridiana (12 dicembre 2019 – 31 agosto 2020). Un viaggio nel Mediterraneo attraverso 400 reperti, 9 sezioni espositive e un focus sul porto antico di Napoli. L’esposizione ha rappresentato una vera e propria summa di quanto svelato dalla disciplina dell’archeologia subacquea dal 1950 ad oggi. Il progetto scientifico è stato curato da “Teichos. Servizi e Tecnologie per l’Archeologia” con la co-curatela del direttore Giulierini, Sebastiano Tusa (archeologo di fama internazionale, scomparso tragicamente nella sciagura aerea di marzo 2019), Luigi Fozzati (già soprintendente archeologo e antropologo del mare e delle acque) e Valeria Li Vigni (soprintendente del Mare della Regione Siciliana) , mentre l’intera mostra promossa e organizzata dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Progettazione e allestimento curato da Gambardellarchitetti, mentre l’aspetto multimediale curato da Federico Baciocchi. L’exhibit è stato promosso anche in rete con il Parco Archeologico di Paestum, sede della mostra gemella “Poseidonia. Città d’acqua” su archeologia e cambiamenti climatici, e con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che ha ospitato il percorso su “I pionieri dell’archeologia subacquea nell’area flegrea e in Sicilia”.
Centro simbolico dell’exhibitè è stato l’Atlante Farnese, capolavoro marmoreo risalente al II sec. d.C., che rappresenta una delle più complete raffigurazioni delle costellazioni celesti. Filo conduttore dell’itinerario la (ri)scoperta del Mediterraneo che, sin dalle radici storiche più remote delle civiltà occidentali, era interpretato (e vissuto) secondo diverse accezioni: cultura, economia, società, religiosità, natura e paesaggio. Termini legati, da sempre, al Mare Nostrum.
Tra le opere in mostra, la Testa di Amazzone, copia romana di un originale greco, proveniente dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei ed, in particolare, dalla collezione del Castello di Baia; la Testa bronzea del Filosofo di Porticello (V sec. a.C.), ritrovata nell’omonimo relitto ed appartenente al Museo Archeologico di Reggio Calabria; il “Tesoretto di Rimigliano”, che comprende monete di argento di età romana imperiale, oggi conservate al Museo Archeologico del territorio di Populonia a Piombino; il “Rilievo di Eracle e Anteo”(II sec. a.C., oggi conservato al Castello Ursino di Catania); il “Reshef” di Selinunte (Museo Salinas di Palermo), eccezionale statuina bronzea (realizzata presumibilmente tra XIV e XII sec. a.C.), con ogni probabilità dedicata ad una divinità; il controrostro di una nave romana, trovato nel porto di Genova a fine Cinquecento (Musei Reali di Torino).

Sin dalla sua nascita, 60 milioni di anni fa, il Mediterraneo ha mutato continuamente forma e la sua trasformazione è ancora in atto. Il vero protagonista è la massa d’acqua, la prospettiva è invertita: il Mar Mediterraneo è studiato dal mare verso la costa e non dalla costa verso il mare. Una mappa delle profondità in 3d e puntuali videoproiezioni hanno raccontato la sua nascita nell’ambito di una delle sezioni più visitate della mostra. “Nonostante un ricco patrimonio archeologico sottomarino, però, poco si era fatto finora per focalizzare e raccontare l’importanza dell’archeologia marittima, sottomarina, subacquea, sia dal punto di vista dei preziosi ritrovamenti, effettuati fino ad oggi, che da quello della tutela, conservazione, valorizzazione e gestione”, sottolinea Salvatore Agizza, archeologo e tra i promotori di Thalassa. “Dagli anni ’60 in particolare in Campania con l’esplosione e la diffusione della subacquea sportiva, si è attenti al patrimonio sommerso, seppur ancora invisibile per molti. Le prime esperienze ‘spontanee’ e indispensabili trovarono, dopo qualche perplessità, l’appoggio delle istituzioni. I rappresentanti dell’ente di tutela, dei centri di ricerca, compresero, in mancanza di mezzi e talvolta di risorse, il bisogno di collaborare per la salvaguardia di quel mondo che cominciava a venir fuori”, spiega. “Una forma ante litteram del partenariato pubblico-privato si delineava di in anno in anno, raccogliendo consenso e partecipazione da parte del grande pubblico. In quest’ottica – conclude – si è costruito il progetto Thalassa e l’omonima mostra. Non è stato un caso che nel 2018 il Museo Archeologico Nazionale di Napoli abbia promosso e siglato un protocollo d’Intesa con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e Teichos – Servizi e Tecnologie per l’Archeologia. Così come non è un caso che nel 2019 si sia organizzato con Teichos il progetto-mostra, che ha riproposto quel modello vincente di collaborazione”.